2006/2007 Una strada europea

Nicola Rivelli

In treno il tempo scorre lento al contrario del paesaggio che sfila di fuori, oltre il finestrino. In treno è pieno di momenti per annoiarsi, per chiacchierare, sbadigliare, riposare, per scherzare, ridere, starnutire, piangere, raccontare. Questa è una di quelle storie che comincia proprio dal vagone di un treno, ma non di uno qualunque: si parla di un treno particolare, o meglio, di uno dei tanti convogli provenienti da tutta Europa e diretti verso la Slovacchia, precisamente a Spišská Nová Ves, durante l’estate del 2007. Gli anziani della piccola cittadina non si aspettavano affatto un’invasione da parte di migliaia di Scout provenienti da ogni angolo del vecchio mondo: ragazzi spagnoli, polacchi, italiani, tedeschi, canadesi (si anche loro fanno parte dello scautismo europeo), portoghesi, francesi, belgi, pronti a vivere una bella avventura tutti insieme sulle pendici dei monti Tatra per una decina di giorni. L’apertura del campo fu affollata, piena di quell’entusiasmo che si respira al sorgere delle belle giornate d’agosto. Il santuario di Levoča si trovava in cima ad una collina, le cui pendici erano letteralmente puntinate di bandieruole e fazzolettoni. Era la prima volta che si organizzava un evento del genere all’interno dell’associazione dello Scautismo Europeo FSE. L’Euromoot sarebbe stato un campo itinerante, un vero e proprio campo mobile estivo, partecipato da migliaia di ragazzi provenienti da tutta Europa. Logisticamente parlando lo sforzo organizzativo fu davvero maestoso: diversi percorsi che si inerpicavano sui monti Tatra, al confine tra Repubblica slovacca e Polonia, furono studiati ad hoc e suddivisi secondo precisi criteri di durata e difficoltà.

Non senza qualche intoppo, le tappe del percorso scelto si susseguirono l’una dopo l’altra attraverso le campagne selvagge tra le colline dei piccoli Tatra. Gli abitanti dei villaggi lungo il cammino salutavano festosi il passaggio degli Scout e le misurate chiese di legno intagliato accoglievano le preghiere dei ragazzi al termine della giornata. Risuonavano con piacere le risate al fuoco serale con i fratelli delle altre nazioni. La serenità nella condivisione del cammino, la semplicità dell’accoglienza, la campagna intatta, curata con quell’umiltà che contraddistingue le cose belle che non passeranno mai, rimanevano ben impresse nella mente. Un’esperienza intensa giorno per giorno fino all’ultima méta del santuario di Częstochowa in Polonia, raggiunto in notturna dopo diciassette chilometri di cammino e fatica dalla fortezza diroccata di Olsztyn. Da lì sarebbe ripartito il giorno seguente un altro treno, questa volta verso la via del ritorno.

Ecco che da qualche parte smarriti tra le Alpi, pareva di scorgere dei nottambuli vagare nel corridoio tra le carrozze. Alcuni guardavano la luna brillare oltre il vetro, tra le cime ancora innevate nonostante l’estate matura.

Di nuovo un treno carico di storie da raccontare a qualcuno, in un futuro prossimo, zuppo di bei ricordi.