Massimo Mattioli e Fabio Francesconi
Era da poco iniziato il XXI secolo… il Calcinelli 1° era pronto ad esplorare nuovi orizzonti e la passione che i capi misero nel proporre questa avventura ai ragazzi fu indiscutibilmente la chiave della riuscita! Il Riparto, con a capo Fabio Francesconi (il Big) aiutato da Francesco Brunori (Bruno) e Giovanni Cicoli (Cioffi) nell’estate del 2003 (2-11 agosto) parteciparono al raduno internazionale della Federazione dello Scoutismo Europeo chiamato Eurojamboree (o Eurojam per i più nostagici), un evento organizzato con una periodicità irregolare (circa ogni 10 anni) al quale tutti i membri delle varie associazioni nazionali sono chiamati a portare ragazzi e ragazze. Noi rispondemmo alla chiamata, facendo nostro lo spirito del motto scelto per l’evento: “duc in altum” ovvero “prendi il largo”. Abbiamo quindi scelto di intervistare il Big, rispolverando la vecchia foto che fece ad alcuni ragazzi proprio prima di salire sul “veicolo” che li condusse al campo.
Cosa hai pensato appena hai rivisto la foto? Ti ricordi dove e perché l’avevi scattata?
“Zaviercie” Polonia!! Piazzale della stazione, eravamo da poco arrivati al nostro primo EUROJAM! Incredibileeeee! In realtà si scrive Zawiercie e non ho la più pallida idea di come si pronunci ma per noi era semplicemente “Zavierce”. Ad ogni modo, non saprei da dove cominciare. Tantissimi ricordi, tantissime emozioni che descriverle in poche parole sarebbe quasi impossibile. Dico soltanto che se ci penso troppo mi potrebbe venire da piangere. Nostalgia, quella tanta. Nostalgia di un’esperienza magnifica, indimenticabile e a suo modo direi quasi irripetibile! Eravamo arrivati da poco alla stazione di questa cittadina polacca e da qui dovevamo raggiungere “Zelasko”, luogo del magico incontro. Ad aspettarci c’erano questi strani mezzi con le sembianze di pullman, molto anni ’50 e molto ma molto diversi da quelli che eravamo abituati a vedere dalle nostre parti. In realtà tutto intorno a noi era molto diverso dal solito, era come aver fatto un tuffo nel passato ma per noi era tutto eccitante, tutto assolutamente divertente! Forse con questa foto volevo immortalare proprio questo aspetto particolare. Nel rivedere i volti di quei ragazzini che a distanza di 15 anni sono uomini grandi e maturi, alcuni sposati, altri imprenditori e professionisti affermati non posso fare a meno di pensare che anche nel loro cuore, l’Eurojam resterà un’esperienza, un ricordo da custodire gelosamente…ora mi commuovo sul serio!
Si dice che il bello di un viaggio non sia la meta ma il percorso per raggiungerla… Perché avete deciso di partire? Raccontaci un aneddoto emblematico:
Direi che in questo caso di bello ci sia stato sia il viaggio che la meta! Frasi fatte a parte è stato tutto davvero entusiasmante a partire dalla preparazione iniziata ben 3 anni prima della partenza. Infatti, per la prima volta nella storia degli Eurojam, la selezione non era più solo e soltanto una mera questione numerica ma bensì una vera e propria conquista legata al merito. Mi spiegherò meglio. Nel corso del triennio che precedeva l’Eurojam le Squadriglie dovevano dimostrare di possedere quelle doti essenziali per poter vivere in maniera adeguata un’esperienza come quella di un campo internazionale, molto impegnativa sotto il profilo del campismo, dell’organizzazione della pattuglia, della capacità di adattamento etc. Tutto questo è stato fatto nella solita maniera…con l’avventura e con il gioco. Venne chiamata “Missione Orion”, come la costellazione…e già si capisce che si pensava in grande. Noi di Calcinelli eravamo un piccolo gruppetto che da pochi anni si stava affacciando timidamente alla vita associativa ma dovevamo dimostrare di essere in gamba, tanto quanto lo erano quei Gruppi storici del resto della nostra associazione…e i ragazzi lo hanno dimostrato e ci siamo guadagnati il diritto a partire. Da lì c’erano ancora tante cose da fare, preiscrizioni, iscrizioni, moduli, burocrazia, vaccini anti zecca killer e tantissime altre cose ma finalmente, il momento di partire è arrivato. Il viaggio, quello vero, quello che dopo 22 ore di treno ci ha portati fino in Polonia, è stato per me uno dei momenti più intensi ed oggi è uno dei ricordi più nitidi. Viaggiavamo su treni speciali, messi a disposizione della nostra associazione proprio per questo evento. Provate ad immaginare centinaia e centinaia di ragazzi da tutta Italia, carichi di entusiasmo, con un’unica meta, a bordo di questi vagoni che alla fine sembravano più simili ad un cargo bestiame che altro…un caos pazzesco, un’euforia tangibile, un viavai di fazzolettoni di ogni colore, su e giù per le carrozze, la curiosità mista ad un pizzico di cauta circospezione verso i ragazzi e le ragazze di altri Gruppi. Le facce fuori dai finestrini e le stazioni che passavano, i paesaggi che cambiavano piano piano. Intanto il sole scendeva, il ritmo incessante del treno che procedeva sui binari quasi ci cullava. L’euforia, dissipata dalla stanchezza e dalla notte che avanzava fece calare il silenzio più totale su tutto il treno. Cuccette chiuse, luci spente. A pensare a qualche ora prima sembrava surreale. In quei momenti, forse per la prima volta, ho realizzato quanta fiducia, i genitori dei nostri ragazzi avevano riposto in me e nello scoutismo. Forse per molti di loro non sarà stato così facile. Il peso della responsabilità era grande ma grande era anche la forza che ciò mi dava per sostenerlo. Il silenzio si è rotto quando al confine con l’Austria tutti i treni diretti all’Eurojam si sono fermati in stazione. Peggio dell’inferno scatenato dai gladiatori al segnale di Massimo Decimo Meridio. Inni di Mameli cantati a squarciagola all’unisono fra i due treni, urla da stadio nel cuore della notte…indescrivibile direi e per fortuna non avevamo ancora vinto i mondiali di Germania!! Ma di tutto il viaggio, alla storia saranno consegnate sicuramente tre cose: Il “Passaporten Kolletifen” urlato dalla polizia alla frontiera con la Repubblica Ceca; Giacomo Marinelli (Maro) che tenta di mediare con questi in un italiano forbito e scandito e Sebastiano Fraternale (Sebi) che da lontano gli urla “Marineeeeellliiii…” con quel tono di sospensione che molto velatamente faceva intuire l’esclamazione successiva “…lascia gì!!” (lascio a voi la traduzione e l’interpretazione). Raccontata così non ci sarebbe niente di divertente ma vi assicuro che in quell’istante si scatenò l’ilarità generale davanti a quei poveri poliziotti che ovviamente continuavano a non capire né Marinelli né il motivo per cui tutti ridevamo.
Questa è stata la prima volta che membri del nostro Gruppo hanno vissuto un’esperienza internazionale. Cosa ti è rimasto di questo scambio? Come pensi che i ragazzi lo ricordino?
Si, in assoluto la prima volta. Prima di una lunga serie oserei dire. L’Eurojamboree precedente si era svolto in Italia nel 1994 e noi non eravamo ancora un Gruppo “svezzato” diciamo. Anzi in quegl’anni, per una serie di motivi, non ce la passavamo proprio bene ma con un po’ di fatica siamo riusciti a cavarcela e a venirne fuori ancora più forti di quanto lo eravamo prima. Nel 2003 si può dire che eravamo maggiorenni. Il Calcinelli 1 stava crescendo ed eravamo pronti per mettere il naso fuori dal “confine” ed affrontare una sfida come quella dell’Eurojam. In senso assoluto penso che quella sia stata un’esperienza davvero straordinaria sotto il profilo della relazione e dell’incontro fra persone provenienti da paesi e culture diverse. L’integrazione non è cosa impossibile né d’altro canto, non è cosa scontata. Quei pochi giorni di campo hanno dimostrato che i ragazzi vogliono e sanno stare insieme, che le differenze ci sono e non vanno appiattite ma comprese, preservate e valorizzate. In tutto questo lo scoutismo si è confermato uno strumento efficace, un progetto concreto di integrazione pensata e costruita ogni giorno, dentro e fuori ognuno di noi. Detto ciò credo che i ragazzi in realtà ricorderanno molto meglio le legnate prese dai francesi durante le sfide a scalpo!! Ce le hanno date di santa ragione, bisogna ammetterlo, sul piano fisico ci hanno quasi schiacciato ma ce li siamo mangiati con l’arte della diplomazia e con la “cultura”. Infatti, come me, tutti ricorderanno il discorso e la traduzione in simultanea di un Giacomo Cicoli (Sacco) che allora non superava il metro di altezza. Ci fece rimanere tutti a bocca aperta, noi e loro. Questi ragazzoni francesi che sembravano dei trentenni tanto erano grossi, non poterono che applaudire e complimentarsi. Ne uscimmo acciaccati ma fieri e soddisfatti. Grande Sacco!
Nell’epoca di Masterchef e dei piatti di novelle cousine, si riscoprono sapori polacchi come il tonno “Tonka” la carne “Volovina” ed il succo “Tymbark”. Come hai affrontato, assieme al Riparto, questa triste pagina della storia culinaria?
Triste quanto divertente direi! Per dare l’idea di quello che poteva essere il cibo polacco vi dirò che in quei giorni avremmo pagato oro per una scatoletta di “Simmental” …non so se rendo? Per fortuna i ragazzi, quasi tutti, presero la cosa con molta filosofia e non fu difficile superare quei “brutti” momenti. Questi cibi divennero presto dei veri e propri simboli di quella esperienza. Se devo essere preciso hai dimenticato di citare i biscottini “petit beurre” e quella specie di prosciutto cotto che nella sua confezione originale somigliava più ad un ferro da stiro che ad un pezzo di carne. Ovviamente ci organizzammo con qualche scorta extra di buon cibo italiano e questo alleviò un po’ le nostre sofferenze alimentari. Emblematico fu lo scambio con i polacchi detto “convivium”. In sostanza noi dovevamo cucinare per loro e loro per noi, Fu’ la prima volta che la cambusa ci passava della carne “vera”. Delle coscette di pollo che cucinammo con tanta cura e tanto amore. Al solo pensiero di dover cedere questo pasto ci piangeva il cuore ma a rendere la situazione ancor più tragicomica fu il cibo che i polacchi offrirono a noi. Non chiedermi cosa fosse perché dopo 15 anni ancora rimane un mistero. Nonostante tutto superammo anche questa con “nonchalance” e la serata si chiuse fra l’ilarità con l’immancabile “gara di rutti”. Del resto, bisognava parlare un linguaggio comprensibile a tutti. Inutile dire che vincemmo noi!
Siete rientrati come degli eroi dopo la guerra. Qual è il ricordo più significativo? Quello più spiacevole? Quello più divertente?
Per citare De Andrè “Alla stazione c’erano tutti con gli occhi rossi e il cappello in mano…C’era un cartello giallo con una scritta nera”. Ora non ricordo se il cartello fosse giallo e la scritta nera ma sta di fatto che il cartello c’era davvero. Più corretto dire uno striscione di “bentornati”. Oltre ai genitori ed alcune ragazze del Gruppo, c’era il vecchio Ricca venuto ad accogliere quei ragazzi che aveva cresciuto e che ormai si erano fatti grandi e capaci di “camminare con le proprie gambe”. Non posso non citarlo!! Il ricordo più significativo è senza dubbio la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza di scoutismo allo stato “puro”. Partire con lo stretto necessario per campeggiare a migliaia di chilometri da casa, senza alcun confort, fidando solo su te stesso e sui tuoi compagni di avventura. Eravamo lontani dagli amici e dalle famiglie ma con la tempra dei boscaioli di montagna più vissuti ricavammo i pali dal bosco per costruirci un angolino tutto nostro, con tutto il necessario, persino un angolo fuoco con tanto di schienali, “per non farci mancare nulla”: quello venne ridefinito “il recinto delle galline”. Ci fu grande complicità e unione fra capi e ragazzi e grazie a questo non mancò mai il buon umore per superare anche le piccole difficoltà. Fu davvero molto ma molto formativa sia per noi capi che per i ragazzi. Il ricordo più spiacevole, se così vogliamo definirlo, per me furono i “SEBACH” ovvero i cessi chimici frequentati ogni giorno da centinaia di ragazzi. Per quanto si sforzassero di pulirli quasi ogni giorno potete immaginarvi che cosa potevano essere quei cabinotti di plastica, sotto il sole d’estate. Oltretutto si trovavano a centinaia di metri dal nostro angolo…se tanto tanto avevi un’urgenza era ancora una volta il bosco a “venirti incontro”. Inutile dire che anche questa cosa fu motivo di tante risate!! Sul ricordo più divertente avrei davvero l’imbarazzo della scelta. Fu tutto assolutamente divertente!! Il viaggio, la vita da campo, gli scambi con le Squadriglie delle altre nazioni, le cerimonie con l’ammiraglio che dirigeva la fila, i capi bivacco, il mio quasi omicidio dell’assistente generale, le semplici cose come la cambusa al mattino, la cucina sui fornelli da campo dove sempre Sacco si procurò un’ustione di 15° grado…a suo modo anche quello fu divertente se ripenso alla frase del dottorino di campo che gli disse “forse ti rimarrà il segno ma non preoccuparti tanto tu non farai mai il modello”. In effetti oggi Sacco ha intrapreso la carriera di commercialista ma avrebbe avuto tutte le caratteristiche per fare davvero il modello ahahaha!! Tantissimi aneddoti che a raccontarli ci vorrebbe davvero una “vita”. In ogni caso un’esperienza che da Capo e da squadrigliere capita una sola volta nella vita e per tutti noi, mi sento di poter dire che fu straordinaria.
Grazie Fabio per la condivisione di questi ricordi genuini e senza tempo: chi c’è stato penso che vorrebbe tornarci e chi non ne ha avuto l’opportunità, potrà certamente sognare con gli occhi di chi ha veramente vissuto “la vita come un’avventura”.