Le nostre impronte

Massimo Mattioli

Questo libro nasceva dal desiderio di lasciare una memoria scritta del nostro Gruppo Scout Calcinelli 1°, tramite i racconti e le fotografie che si sono accumulati in questo lungo viaggio. Ci aspettavamo di poter compiere questa missione uscendone illesi, ma così non è stato. Non è stato facile rivivere questi momenti attraverso le voci e gli scatti dei Capi, perché ogni volta entravamo più a fondo nella complessità delle relazioni vissute, capivamo come fosse difficile rialzare le tessere di un domino iniziato ben trenta anni fa: scoprendo una tessera se ne apriva una, poi una altra e così via a ritroso fino alle origini. Cambiavano i volti, i luoghi, le stagioni, le attività, ma l’unica cosa che rimaneva costante era la passione dei Capi: questa non si può raccontare né immortalare, ma soltanto rispettare. Solo grazie a chi ci ha preceduto potremmo sapere da dove siamo partiti e dove andremo. Ma questo perché? Solo il nostro caro B.P., nelle sue parole semplici e dirette, può spiegarcelo.

“Ma il mezzo più importante per la formazione rimane, ancora una volta, l’esempio del Capo. È ciò che il Capo fa, non tanto quello che dice, che influenza il ragazzo. Nel divenire Capi, avete iniziato a dare una prova concreta del segreto vero del buon civismo, che poi è anche il segreto del successo di ogni scelta professionale: avete scelto di essere Capi non per quello che potete trarne fuori, ma per quello che ci metterete dentro”. Robert Baden-Powell – Il libro dei capi

Buona lettura, buona visione e… Buona Strada.

1988/1997 L’alba del gruppo

Massimo Mattioli, interviste: Rosanna Valeri Renzoni e Don Giuseppe Monaco

Per partire verso questa nostro viaggio fotografico che ci mostrerà tutta (o quasi) la storia del Gruppo Calcinelli 1°, bisogna andare ad esplorare le nostre origini. Abbiamo quindi intervistato Rosanna Valeri Renzoni (ex Preside dell’Istituto Comprensivo “G. Leopardi”), la persona che intuì un’esigenza della comunità e si adoperò materialmente per “accendere la scintilla” da cui partì il fuoco che arde tutt’ora. Il desiderio di ampliare l’offerta educativa del nostro territorio la condusse a conoscere lo scoutismo, già attivo nella cittadina di Fano, il cui aiuto fu indispensabile.

Come è nata in lei questa idea ed in che modo ha deciso che la proposta Scout potesse esserne la risposta? È stata ben accolta o ha trovato qualche resistenza?

Sono arrivata come preside della Scuola Media di Saltara nel 1985 e dopo poco mi accorsi che mancavano proposte concrete per i ragazzi, soprattutto della fascia critica adolescenziale e preadolescenziale: quello che mi colpì fu l’assenza di attività valide per il dopo-scuola. Quindi contattai Carlo Bertini, un signore con barba e baffi, Capo del Gruppo Scout di Fano e gli feci la proposta: lui fu ben lieto di aiutarci! Di lì a breve ne parlai con Don Giulio Polverari che, entusiasta, sposò la causa e si adoperò per trovare locali dove far riunire i ragazzi, ma soprattutto riuscì a trovare persone adulte che volessero aiutare, quindi coinvolse suo fratello Riccardo ed il giovane Giacomo Ruggeri. Dopo due anni circa di preparativi si riuscì a partire: la prima Squadriglia era infatti composta quasi interamente da ragazzi della classe di mio figlio, lui compreso. La foto che ho ritrovato è però del secondo anno di attività, precisamente del 2 aprile 1989 quando il Gruppo si era già iniziato ad ampliare, e ricordo che la proposta fu condivisa da molti genitori, perché ritenuta valida, pur non conoscendola a fondo.

Come è stato collaborare con Don Giulio?

Ho trovato da subito una grandissima disponibilità, Don Giulio è sempre stato una persona molto importante per me e per la comunità intera, ed ancora lo ricordo con affetto. Trovai anche una gran disponibilità nel Gruppo di Fano che fece da guida ed accolse i futuri Capi di Calcinelli, insegnando loro le basi per poter iniziare.

Avrebbe mai creduto che da quella idea sarebbe potuta nascere una realtà così longeva ed in grado di cambiare “silenziosamente” la nostra comunità?

In realtà ci speravo: pensavo che dopo averlo fatto partire sarebbe piaciuto. Chiaramente con il trascorrere degli anni mi allontanai dalle attività, ma era veramente molto bello vedere gli Scout nelle varie manifestazioni e nella vita della parrocchia. L’unico rimpianto è stato quello di non aver potuto aprire anche la sezione femminile (solo per mancanza di adulti, non di volontà), anche se ho visto che siete riusciti a farlo e questo mi ha fatto veramente molto piacere. Durante questi anni, ricordo che in più occasioni abbiamo proposto ad alcuni alunni, che ritenevamo poter giovare dell’integrazione nel Gruppo, mantenendo quindi un rapporto privilegiato e diretto con i Capi. Mi è anche tornato alla mente un ricordo piacevole di mio figlio Emanuele, di cui conservo ancora l’uniforme anche se dopo alcuni anni uscì dal Gruppo Scout: prima di partire per il campeggio chiese di poter imparare a cucinare alla nonna per non trovarsi impreparato! Una cosa che mi ha stupito e che penso sia importante oggi come allora è la “manualità” che la proposta Scout tiene in gran considerazione e che, su alcuni ragazzi che magari non hanno una naturale propensione allo studio, permette di utilizzare abilità che la scuola non riesce a far emergere.

Sono inoltre molto felice al pensiero che anche i miei nipoti, se lo vorranno, potranno a loro volta partecipare alle attività Scout!

Nacque così la prima Squadriglia: gli storici “scoiattoli”, sette ragazzi di cui ancora alcuni militano nelle nostre fila, con qualche anno in più (e anche qualche acciacco in più) ma con lo stesso spirito di avventura senza il quale è impossibile fare scoutismo. Il primo incontro avvenne nel marzo 1988, ma l’atto di fondazione ufficiale è datato 21 aprile 1988. Partire è difficile, ma chi è pratico di escursionismo sa che anche mantenere il passo, nonostante il cambio di quota, il meteo non sempre favorevole ed i possibili ostacoli naturali, è una sfida che si vince minuto dopo minuto. Il vero punto di forza, sia per condividere i momenti di gioia che per trovare le forze quando incominciano a scarseggiare, è fare affidamento sui nostri fratelli e sorelle. Proprio in quei momenti si diventa parte di un disegno divino e ci si ricorda che senza Lui, il nostro agire sarebbe come quello di uno sciocco venditore che si preoccupa di abbellire il proprio negozio ma che non ha nulla di concreto da vendere. Per questo serve una guida, che non faccia mai mancare il proprio appoggio o che ci aiuti fraternamente per non correre il rischio di “prendere la strada sbagliata”. Il legame con la nostra parrocchia era talmente radicato che già dall’inizio, quando si pensò al nome da dare al Riparto maschile, la scelta ricadde indiscutibilmente nella “Santa Croce”, come la protettrice della nostra comunità parrocchiale. Se Don Giulio fu il pioniere, Don Giuseppe Monaco è stato (ed è tutt’ora) la nostra bussola. La sua voce profonda per molti è stata la voce di Baloo, il grande orso bruno che insegna la Legge della Giungla ai cuccioli del Branco, mentre per altri è colui che dà consigli sinceri o che tenta di ricordare a tutti gli insegnamenti di Gesù, che a volte facciamo finta di non sentire. Ma il messaggio più forte che ci ha sempre trasmesso, lo ha fatto in silenzio tramite la sua presenza costante. Lo abbiamo intervistato per carpire da lui le impressioni che ha avuto appena giunse nella nostra comunità.

Quando arrivasti in questa realtà parrocchiale, chi fu il primo Scout che incontrasti?

La prima volta che venni a contatto con gli Scout fu per il Decennale del Gruppo al “castello” del Parco di Calcinelli: era il 1998 ed incontrai le “vecchie guardie” di oggi cioè Fabio Francesconi (il Big), Marusca Tenaglia (Maru), Mattia Camilloni (Cami) e altri che ora non ricordo. Rimasi da subito molto sorpreso perché Calcinelli fu la prima realtà Scout che vidi, e la gioia con la quale si dedicavano al servizio, le loro iniziative mi fecero un bell’effetto.

Che effetto ti fece (e ti fa tutt’ora) lavorare con gli Scout? Qual è il tuo più bel ricordo?

Ci sono sempre stati dei momenti di attiva collaborazione e altri in cui invece ci confrontava apertamente! Ricordo con grande felicità il campo di Gruppo a Casteldelci, il momento per me più bello, dove si è sperimentata la profonda unione di tutte le branche, anche con grande stupore da parte del Vescovo Armando, che venne a celebrare la Santa Messa, pieno di entusiasmo. Voglio augurare agli Scout di riuscire a camminare costanti per la retta via, e di tenere sempre a mente questa massima: che i grandi servano i più piccoli, ed i piccoli servano i grandi.

1997/1999 Dieci candeline

Francesco Brunori

Nel 1998 il Riparto “Santa Croce”, ancora unica unità di quello che diventerà il Gruppo Calcinelli 1°, raggiunge l’importante traguardo del decennale di scoutismo a Calcinelli. Per festeggiare al meglio i primi 10 anni di vita si pensa di organizzare un grande evento al parco Unicef di Calcinelli: una serata in un caldo sabato di luglio, con Scout, ex Scout e genitori.

L’Alta Squadriglia lavora alacremente per alcuni giorni per preparare un’issabandiera e un’installazione da campo completa. Il sabato vengono portati i tavoli e le sedie per la cena e nel tardo pomeriggio iniziano ad arrivare gli invitati.

Ad accoglierli c’è un complesso che suona, un complesso quasi interamente composto da Scout.

Tra i non Scout, al basso, c’è una ragazza che nessuno avrebbe mai immaginato sarebbe diventata una delle fondatrici della sezione femminile a Calcinelli: Marusca Tenaglia.

La serata prosegue con un abbondante cena e con alcune scenette divertentissime preparate e recitate dai ragazzi del Santa Croce, tra queste la scenetta che è passata alla storia come la scenetta dei cow boy.

A fine serata, sistemato tutto il materiale, uno dei ragazzi che da qualche anno si era un po’ allontanato dallo scoutismo, manifesta il desiderio di passare qualche giorno al campo estivo e respirare ancora una volta il profumo dello scoutismo. Bastano quei pochi giorni al campo estivo a Madonna dell’Acquanera (Monte Catria) che si tenne qualche settimana dopo quella serata, per riaccendere la passione dello scoutismo. Di lì ad un paio d’anni, quel ragazzo, Giacomo Giovanelli, divenne il primo Capo Clan di Calcinelli.

Nell’estate del 1999 il Riparto Santa Croce si sta preparando al campo estivo che inizierà i primi giorni di agosto. Negli ultimi anni ci sono stati pochi nuovi ingressi e il Riparto avrebbe bisogno di giovani Esploratori.

La provvidenza bussa alla porta in maniera del tutto inaspettata e in men che non si dica tra le generazioni ‘88-‘89-‘90 molti giovani ragazzi chiedono di poter partecipare a quel campo estivo. Quei ragazzi sono nuova linfa per il Santa Croce e danno un nuovo spirito al Riparto.

L’11 agosto del 1999 è giorno di eclissi solare ed è il segno dell’inizio di una nuova era: molti di quei ragazzi continueranno la loro esperienza nello scoutismo per molti anni, divenendo lo zoccolo duro del nostro Gruppo.

1999/2000 Im_possibile

Alessandro Cicoli

Erano i primi giorni dell’Agosto del 2000 quando vide la luce quella che può essere definita, a buon diritto, come “la grande opera” del nostro Gruppo Scout: il mitico alzabandiera del campo estivo di Bocca Trabaria.

Molti ricorderanno quell’estate per il Giubileo di Papa Wojtyla, per l’incidente del Concorde e per la batosta rimediata dalla nostra nazionale nella finale dei campionati europei di calcio, ma nei cuori e nelle menti di noi Esploratori di allora vibra ancora forte l’emozione suscitata dalla bellezza e dall’imponenza di quella costruzione, che per tanti anni ha orgogliosamente riempito lo sfondo dei desktop dei nostri PC.

Chi scrive al tempo era poco più di un novizio, e in realtà non ha alcun merito per la realizzazione di quella grande impresa.

L’Alta Squadriglia vedeva tra le proprie fila i ragazzi nati fra il 1984 e il 1985: per la Squadriglia Tigri, Lorenzo Bruscoli e Mattia Camilloni; per la Squadriglia Falchi, Alessandro Massi e Federico Grilli; e per la Squadriglia Orsi, Giovanni Ciacci e Riccardo Rossi. Non appena il Big, allora Capo Riparto del Santa Croce, comunicò ai ragazzi che le storie di Don Chisciotte della Mancia sarebbero state utilizzate per l’ambientazione del campo, l’Alta Squadriglia iniziò a valutare alcuni progetti per la costruzione dell’alzabandiera.

L’idea del mulino a vento venne subito presa in considerazione, ma il passaggio dal fatidico foglio di carta alla realizzazione dell’opera non fu affatto facile.

Si incaricò del progetto Lorenzo Bruscoli (Lollo), aiutato da babbo Marcello: venne utilizzato il cortile di casa come primo “cantiere edile”, nel quale fu costruita la struttura base (sino al primo piano) e il meccanismo dell’elica.

Successivamente il tutto fu smontato per essere trasportato alla colonia CIF, sede del campo estivo: insieme all’Alta Squadriglia, e con l’aiuto di qualche membro della Direzione di Riparto, venne in una prima fase innalzata la struttura portante e realizzato il pavimento sopraelevato (delle dimensioni di 5×4 metri).

Per poter garantire la necessaria stabilità, i quattro pali portanti vennero fissati in terra alla profondità di un metro. A detta dei presenti, le maggiori criticità vennero affrontate durante la realizzazione del secondo piano: dapprima fu costruito a terra per poi essere elevato in cima alla struttura. Nell’operazione vennero coinvolti tutti i presenti: ognuno dei quattro pali era sorretto da due persone, mentre altri quattro ragazzi, con l’ausilio di tiranti in corda, mantenevano in piedi la struttura.

Nel frattempo, il resto del Riparto era arrivato al campo e poté così assistere al fissaggio dei pennoni, al montaggio dell’elica e ai ritocchi decorativi finali.

Fu davvero una grande emozione vedere l’alzabandiera innalzarsi e ammirare il movimento delle pale del mulino.

Nei giorni più ventilati, a causa della grande velocità raggiunta dall’elica, si dovette trovare una soluzione per rallentarne il movimento: venne così versato sul meccanismo un mix di acqua e zucchero, con un grado di concentrazione zuccherina proporzionale alla forza del vento.

Questo alzabandiera non fu solamente un’impresa di pioneristica, ma un vero e proprio protagonista di quel campo estivo.

Ricordo quando venne letteralmente preso d’assalto durante il grande gioco, e ho ancora chiara nella mia memoria la delusione dipinta sui volti dei ragazzi che si vedevano respingere le proprie munizioni dalle pale del mulino.

Ricordo, inoltre, che a turno i Capi e Vice Capi Squadriglia vi passavano la notte, tra veglie alle stelle improvvisate e infinite chiacchierate notturne.

E probabilmente, se all’epoca avessimo saputo in quale ordine issare le bandiere, le pubblicazioni su Tracce sarebbero state ben più di una foto sbiadita in ultima pagina.

Ma forse, più di ogni altra cosa, quell’alzabandiera fu lo strumento che fortificò lo spirito e l’unione di quell’Alta Squadriglia che, di lì a poco, andò a costituire le fondamenta del nostro Clan.

2000/2001 Sei scout in cerca di un nome

Nicola Rivelli

Erano passati dieci anni dalla nascita del Gruppo e quella sera al parco Unicef di Calcinelli risuonavano le note dei canti Scout attorno al falò. La notte si faceva profonda intorno alla mole del castello abbandonato che ancora oggi sorveglia quella zona del parco pubblico. Le ombre delle fiamme danzavano svelte e portavano alla mente molti ricordi del passato. Così nascono i grandi racconti e le grandi storie: stretti attorno a un fuoco di bivacco che tutto rende possibile.

Bastò la possibilità di quella sera infatti per convincere Giacomo Giovanelli a tornare a far parte del Gruppo Scout, dopo che, ormai da qualche anno, se ne era allontanato. La proposta fu semplice e diretta, in pieno stile Scout. C’era bisogno di un Capo Clan per poter dar vita ad un servizio continuativo nel Gruppo da parte dei ragazzi più grandi che uscivano dal Riparto. Quella sera Giacomo disse che si poteva fare: sarebbe stato lui a guidare la squadra in questa nuova avventura.

I ragazzi di allora iniziarono a vedersi con costanza e a creare una piccola comunità, ma questa ancora non aveva un nome. Si decise di cercarlo a Bologna, con un’uscita appositamente organizzata per raggiungere quell’obiettivo (era il 26 novembre 2000). Giacomo conosceva bene la città e sembrava la meta giusta per trovarvi ispirazione. I ragazzi ben felici dell’uscita fuori porta si trovarono subito di fronte alla grande basilica di San Petronio. Era una bella giornata e la luce rimaneva ingarbugliata tra le profonde fessure dei mattoncini della facciata non finita. “Chiamiamoci Clan Maggiore!” Disse all’improvviso uno dei ragazzi. Perché no? Non pareva male. Maggiore come quella Piazza infinitamente vasta se pensata all’interno di una città medievale come Bologna. Tuttavia qualcuno non sembrava troppo convinto. “Giriamo l’angolo e forse ci verrà in mente qualcos’altro” disse un altro.

Di là, oltre il bugnato cinquecentesco del Palazzo del Podestà, si intravedeva già il corpo nero e cangiante del Nettuno. Emergeva splendido in cima alla fontana, circondato dalle ninfe che giocavano con l’acqua. Un Nettuno possente, ardito ed energico, capace di rappresentare al meglio l’audace giovinezza di un gruppo di ragazzi che avevano fretta di imparare a guidare da soli la propria canoa. Tutti si trovarono d’accordo: era bastato girare un po’ intorno alla piazza, cambiare la prospettiva, e tutti si erano convinti.

Davvero una bella storia da raccontare al caldo della fiamma a tutti quelli che in futuro faranno parte del Clan Nettuno di Calcinelli.

2001/2002 Un desiderio venuto da lontano

Laura Bruscoli

Nonostante sia una delle cinque ragazze che a Calcinelli hanno iniziato l’avventura dello scautismo al femminile, non mi ero mai chiesta come fosse stato piantato questo seme, e perché la nostra cara fondatrice, Marusca Tenaglia (Maru) rispose SÌ a questa chiamata fuori dalle righe che le era stata fatta.

Quindi vado da lei e le chiedo, appunto, perché ha detto sì e da dove viene il tutto. Scopro così che il desiderio di questa sezione femminile del Gruppo viene in primis da Fabio Francesconi (il Big), che nella sua lungimiranza, chiede a tre animatrici parrocchiali di seguire il Riparto Esploratori al loro campo estivo e di svolgere lì un servizio di cambusa.

Una di quelle tre animatrici è la nostra Maru, che nel 1998 fa la sua esperienza in tenda, con pantaloncini con i tasconi e la maglietta blu, accampata fuori del Rifugio di Madonna dell’Acquanera, ad osservare da vicino un Riparto Esploratori.

Ma come ben sappiamo le Guide non compaiono a Calcinelli nel 1998 ma nel 2001 per la prima volta. Quindi: cosa è successo in questo lasso di tempo?

Maru svolge il servizio di animatrice in Parrocchia per un triennio poiché aveva già speso una parola in questo senso e allo scadere del triennio, invece di prendere un nuovo gruppo di ragazzi, si ritrova a parlare una sera con Big, Giacomo “Giova” Giovanelli, Francesco “Bruno” Brunori, e Giovanni “Cioffi” Cicoli, e si sente dire:

“Noi ti vediamo come la persona che porta con sé la vicinanza allo scautismo e l’esperienza con i giovani”.

Quelle parole si sono sommate alle considerazioni fatte in quei tre anni: in quel campo estivo, ciò che aveva maggiormente colpito Maru dello scautismo era la profonda autonomia e il forte senso di responsabilità che vivevano i ragazzi nella loro vita di Squadriglia.

Ed è stata proprio questa la proposta fuori dalle righe che Maru ha accettato (non finiremo mai di ringraziarla per questo): essere la Capo di una manciata di ragazzine che avrebbero voluto sviluppare questa autonomia e questa responsabilità.

Quelle ragazzine sono comparse nell’estate del 2001 ed erano: Francesca Maltempi, Francesca Curzi, Alice Ragnetti, e chi scrive ora, Laura Bruscoli. Tutte quattro, guarda caso, conoscevamo il Big e sono sicura che più volte ci eravamo sentite dire: “Ehi, ma tu vuoi fare i boy Scout?” – con un tono che accentuava le parole “boy” e “Scout”.

Forti del nostro sì e dell’avere Maru con noi, tutte cinque partiamo per il primo campo di formazione, ad agosto 2001.

Da quel campo all’apertura del Riparto Guide, avvenuta ufficialmente il 3 febbraio 2002, ne sono successe di cose: la prima comparse delle ragazze in uniforme (che imbarazzo mettersi quella brutta gonna pantalone, ma quanto era bella la camicia con tutti i distintivi); i Passaggi di inizio anno in cui i ragazzi ci hanno insegnato a cucinare alla trappeur; le domeniche mattine in affiancamento al Riparto Esploratori ad imparare le tecniche Scout (dalle legature per le costruzioni alle coordinate topografiche), e il conoscerci sempre di più per arrivare emozionate a quella domenica 3 febbraio 2002.

Quelle cinque iniziali ragazze erano diventate quattro dopo i primi mesi, e si sentivano rare e fortunate per quello che stavano vivendo.

Per questo il nostro Riparto Guide si chiama “Il Quadrifoglio”.

Metà di quella fortuna veniva dal forte e costante sostegno di una sezione maschile che aveva scelto di rivolgersi a persone del posto, a cui non è stato chiesto di allontanarsi o formarsi in un altro Gruppo Scout per poi tornare all’ovile. Lo stare vicino alla nostra sezione maschile ci ha fatto sentire sempre appoggiate e sorrette nei primi passi al femminile, ci ha fatto respirare un’atmosfera di condivisione e comunione fraterna, che ci ha permesso di diventare quello che vediamo oggi.

L’altra metà della fortuna veniva dalla ferma volontà di voler scoprire che il Guidismo, seppur con gli stessi principi e gli stessi valori, non era certo una copia dello scautismo al maschile ma semplicemente un’occasione per sviluppare la femminilità in quelle ragazze, per portarle poi a divenire delle Guide, delle Donne di Carattere per la società del domani.

Un altro nome va citato nel ricordare le origini rosa del nostro Gruppo: nella notte tra il 26 e il 27 ottobre 2002 nasceva il Fuoco Girasole con Paola Ruggeri come Capo Fuoco.

La stessa Paola che nel 2008 aprì il nostro Cerchio.

Ma questa è un’altra storia che potrete leggere nelle prossime pagine…

2002/2003 Daily Zelazko

Massimo Mattioli e Fabio Francesconi

Era da poco iniziato il XXI secolo… il Calcinelli 1° era pronto ad esplorare nuovi orizzonti e la passione che i capi misero nel proporre questa avventura ai ragazzi fu indiscutibilmente la chiave della riuscita! Il Riparto, con a capo Fabio Francesconi (il Big) aiutato da Francesco Brunori (Bruno) e Giovanni Cicoli (Cioffi) nell’estate del 2003 (2-11 agosto) parteciparono al raduno internazionale della Federazione dello Scoutismo Europeo chiamato Eurojamboree (o Eurojam per i più nostagici), un evento organizzato con una periodicità irregolare (circa ogni 10 anni) al quale tutti i membri delle varie associazioni nazionali sono chiamati a portare ragazzi e ragazze. Noi rispondemmo alla chiamata, facendo nostro lo spirito del motto scelto per l’evento: “duc in altum” ovvero “prendi il largo”. Abbiamo quindi scelto di intervistare il Big, rispolverando la vecchia foto che fece ad alcuni ragazzi proprio prima di salire sul “veicolo” che li condusse al campo.

Cosa hai pensato appena hai rivisto la foto? Ti ricordi dove e perché l’avevi scattata?

“Zaviercie” Polonia!! Piazzale della stazione, eravamo da poco arrivati al nostro primo EUROJAM! Incredibileeeee! In realtà si scrive Zawiercie e non ho la più pallida idea di come si pronunci ma per noi era semplicemente “Zavierce”. Ad ogni modo, non saprei da dove cominciare. Tantissimi ricordi, tantissime emozioni che descriverle in poche parole sarebbe quasi impossibile. Dico soltanto che se ci penso troppo mi potrebbe venire da piangere. Nostalgia, quella tanta. Nostalgia di un’esperienza magnifica, indimenticabile e a suo modo direi quasi irripetibile! Eravamo arrivati da poco alla stazione di questa cittadina polacca e da qui dovevamo raggiungere “Zelasko”, luogo del magico incontro. Ad aspettarci c’erano questi strani mezzi con le sembianze di pullman, molto anni ’50 e molto ma molto diversi da quelli che eravamo abituati a vedere dalle nostre parti. In realtà tutto intorno a noi era molto diverso dal solito, era come aver fatto un tuffo nel passato ma per noi era tutto eccitante, tutto assolutamente divertente! Forse con questa foto volevo immortalare proprio questo aspetto particolare. Nel rivedere i volti di quei ragazzini che a distanza di 15 anni sono uomini grandi e maturi, alcuni sposati, altri imprenditori e professionisti affermati non posso fare a meno di pensare che anche nel loro cuore, l’Eurojam resterà un’esperienza, un ricordo da custodire gelosamente…ora mi commuovo sul serio!

Si dice che il bello di un viaggio non sia la meta ma il percorso per raggiungerla… Perché avete deciso di partire? Raccontaci un aneddoto emblematico:

Direi che in questo caso di bello ci sia stato sia il viaggio che la meta! Frasi fatte a parte è stato tutto davvero entusiasmante a partire dalla preparazione iniziata ben 3 anni prima della partenza. Infatti, per la prima volta nella storia degli Eurojam, la selezione non era più solo e soltanto una mera questione numerica ma bensì una vera e propria conquista legata al merito. Mi spiegherò meglio. Nel corso del triennio che precedeva l’Eurojam le Squadriglie dovevano dimostrare di possedere quelle doti essenziali per poter vivere in maniera adeguata un’esperienza come quella di un campo internazionale, molto impegnativa sotto il profilo del campismo, dell’organizzazione della pattuglia, della capacità di adattamento etc. Tutto questo è stato fatto nella solita maniera…con l’avventura e con il gioco. Venne chiamata “Missione Orion”, come la costellazione…e già si capisce che si pensava in grande. Noi di Calcinelli eravamo un piccolo gruppetto che da pochi anni si stava affacciando timidamente alla vita associativa ma dovevamo dimostrare di essere in gamba, tanto quanto lo erano quei Gruppi storici del resto della nostra associazione…e i ragazzi lo hanno dimostrato e ci siamo guadagnati il diritto a partire. Da lì c’erano ancora tante cose da fare, preiscrizioni, iscrizioni, moduli, burocrazia, vaccini anti zecca killer e tantissime altre cose ma finalmente, il momento di partire è arrivato. Il viaggio, quello vero, quello che dopo 22 ore di treno ci ha portati fino in Polonia, è stato per me uno dei momenti più intensi ed oggi è uno dei ricordi più nitidi. Viaggiavamo su treni speciali, messi a disposizione della nostra associazione proprio per questo evento. Provate ad immaginare centinaia e centinaia di ragazzi da tutta Italia, carichi di entusiasmo, con un’unica meta, a bordo di questi vagoni che alla fine sembravano più simili ad un cargo bestiame che altro…un caos pazzesco, un’euforia tangibile, un viavai di fazzolettoni di ogni colore, su e giù per le carrozze, la curiosità mista ad un pizzico di cauta circospezione verso i ragazzi e le ragazze di altri Gruppi. Le facce fuori dai finestrini e le stazioni che passavano, i paesaggi che cambiavano piano piano. Intanto il sole scendeva, il ritmo incessante del treno che procedeva sui binari quasi ci cullava. L’euforia, dissipata dalla stanchezza e dalla notte che avanzava fece calare il silenzio più totale su tutto il treno. Cuccette chiuse, luci spente. A pensare a qualche ora prima sembrava surreale. In quei momenti, forse per la prima volta, ho realizzato quanta fiducia, i genitori dei nostri ragazzi avevano riposto in me e nello scoutismo. Forse per molti di loro non sarà stato così facile. Il peso della responsabilità era grande ma grande era anche la forza che ciò mi dava per sostenerlo. Il silenzio si è rotto quando al confine con l’Austria tutti i treni diretti all’Eurojam si sono fermati in stazione. Peggio dell’inferno scatenato dai gladiatori al segnale di Massimo Decimo Meridio. Inni di Mameli cantati a squarciagola all’unisono fra i due treni, urla da stadio nel cuore della notte…indescrivibile direi e per fortuna non avevamo ancora vinto i mondiali di Germania!! Ma di tutto il viaggio, alla storia saranno consegnate sicuramente tre cose: Il “Passaporten Kolletifen” urlato dalla polizia alla frontiera con la Repubblica Ceca; Giacomo Marinelli (Maro) che tenta di mediare con questi in un italiano forbito e scandito e Sebastiano Fraternale (Sebi) che da lontano gli urla “Marineeeeellliiii…” con quel tono di sospensione che molto velatamente faceva intuire l’esclamazione successiva “…lascia gì!!” (lascio a voi la traduzione e l’interpretazione). Raccontata così non ci sarebbe niente di divertente ma vi assicuro che in quell’istante si scatenò l’ilarità generale davanti a quei poveri poliziotti che ovviamente continuavano a non capire né Marinelli né il motivo per cui tutti ridevamo.

Questa è stata la prima volta che membri del nostro Gruppo hanno vissuto un’esperienza internazionale. Cosa ti è rimasto di questo scambio? Come pensi che i ragazzi lo ricordino?

Si, in assoluto la prima volta. Prima di una lunga serie oserei dire. L’Eurojamboree precedente si era svolto in Italia nel 1994 e noi non eravamo ancora un Gruppo “svezzato” diciamo. Anzi in quegl’anni, per una serie di motivi, non ce la passavamo proprio bene ma con un po’ di fatica siamo riusciti a cavarcela e a venirne fuori ancora più forti di quanto lo eravamo prima. Nel 2003 si può dire che eravamo maggiorenni. Il Calcinelli 1 stava crescendo ed eravamo pronti per mettere il naso fuori dal “confine” ed affrontare una sfida come quella dell’Eurojam. In senso assoluto penso che quella sia stata un’esperienza davvero straordinaria sotto il profilo della relazione e dell’incontro fra persone provenienti da paesi e culture diverse. L’integrazione non è cosa impossibile né d’altro canto, non è cosa scontata. Quei pochi giorni di campo hanno dimostrato che i ragazzi vogliono e sanno stare insieme, che le differenze ci sono e non vanno appiattite ma comprese, preservate e valorizzate. In tutto questo lo scoutismo si è confermato uno strumento efficace, un progetto concreto di integrazione pensata e costruita ogni giorno, dentro e fuori ognuno di noi. Detto ciò credo che i ragazzi in realtà ricorderanno molto meglio le legnate prese dai francesi durante le sfide a scalpo!! Ce le hanno date di santa ragione, bisogna ammetterlo, sul piano fisico ci hanno quasi schiacciato ma ce li siamo mangiati con l’arte della diplomazia e con la “cultura”. Infatti, come me, tutti ricorderanno il discorso e la traduzione in simultanea di un Giacomo Cicoli (Sacco) che allora non superava il metro di altezza. Ci fece rimanere tutti a bocca aperta, noi e loro. Questi ragazzoni francesi che sembravano dei trentenni tanto erano grossi, non poterono che applaudire e complimentarsi. Ne uscimmo acciaccati ma fieri e soddisfatti. Grande Sacco!

Nell’epoca di Masterchef e dei piatti di novelle cousine, si riscoprono sapori polacchi come il tonno “Tonka” la carne “Volovina” ed il succo “Tymbark”. Come hai affrontato, assieme al Riparto, questa triste pagina della storia culinaria?

Triste quanto divertente direi! Per dare l’idea di quello che poteva essere il cibo polacco vi dirò che in quei giorni avremmo pagato oro per una scatoletta di “Simmental” …non so se rendo? Per fortuna i ragazzi, quasi tutti, presero la cosa con molta filosofia e non fu difficile superare quei “brutti” momenti. Questi cibi divennero presto dei veri e propri simboli di quella esperienza. Se devo essere preciso hai dimenticato di citare i biscottini “petit beurre” e quella specie di prosciutto cotto che nella sua confezione originale somigliava più ad un ferro da stiro che ad un pezzo di carne. Ovviamente ci organizzammo con qualche scorta extra di buon cibo italiano e questo alleviò un po’ le nostre sofferenze alimentari. Emblematico fu lo scambio con i polacchi detto “convivium”. In sostanza noi dovevamo cucinare per loro e loro per noi, Fu’ la prima volta che la cambusa ci passava della carne “vera”. Delle coscette di pollo che cucinammo con tanta cura e tanto amore. Al solo pensiero di dover cedere questo pasto ci piangeva il cuore ma a rendere la situazione ancor più tragicomica fu il cibo che i polacchi offrirono a noi. Non chiedermi cosa fosse perché dopo 15 anni ancora rimane un mistero. Nonostante tutto superammo anche questa con “nonchalance” e la serata si chiuse fra l’ilarità con l’immancabile “gara di rutti”. Del resto, bisognava parlare un linguaggio comprensibile a tutti. Inutile dire che vincemmo noi!

Siete rientrati come degli eroi dopo la guerra. Qual è il ricordo più significativo? Quello più spiacevole? Quello più divertente?

Per citare De Andrè “Alla stazione c’erano tutti con gli occhi rossi e il cappello in mano…C’era un cartello giallo con una scritta nera”. Ora non ricordo se il cartello fosse giallo e la scritta nera ma sta di fatto che il cartello c’era davvero. Più corretto dire uno striscione di “bentornati”. Oltre ai genitori ed alcune ragazze del Gruppo, c’era il vecchio Ricca venuto ad accogliere quei ragazzi che aveva cresciuto e che ormai si erano fatti grandi e capaci di “camminare con le proprie gambe”. Non posso non citarlo!! Il ricordo più significativo è senza dubbio la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza di scoutismo allo stato “puro”. Partire con lo stretto necessario per campeggiare a migliaia di chilometri da casa, senza alcun confort, fidando solo su te stesso e sui tuoi compagni di avventura. Eravamo lontani dagli amici e dalle famiglie ma con la tempra dei boscaioli di montagna più vissuti ricavammo i pali dal bosco per costruirci un angolino tutto nostro, con tutto il necessario, persino un angolo fuoco con tanto di schienali, “per non farci mancare nulla”: quello venne ridefinito “il recinto delle galline”. Ci fu grande complicità e unione fra capi e ragazzi e grazie a questo non mancò mai il buon umore per superare anche le piccole difficoltà. Fu davvero molto ma molto formativa sia per noi capi che per i ragazzi. Il ricordo più spiacevole, se così vogliamo definirlo, per me furono i “SEBACH” ovvero i cessi chimici frequentati ogni giorno da centinaia di ragazzi. Per quanto si sforzassero di pulirli quasi ogni giorno potete immaginarvi che cosa potevano essere quei cabinotti di plastica, sotto il sole d’estate. Oltretutto si trovavano a centinaia di metri dal nostro angolo…se tanto tanto avevi un’urgenza era ancora una volta il bosco a “venirti incontro”. Inutile dire che anche questa cosa fu motivo di tante risate!! Sul ricordo più divertente avrei davvero l’imbarazzo della scelta. Fu tutto assolutamente divertente!! Il viaggio, la vita da campo, gli scambi con le Squadriglie delle altre nazioni, le cerimonie con l’ammiraglio che dirigeva la fila, i capi bivacco, il mio quasi omicidio dell’assistente generale, le semplici cose come la cambusa al mattino, la cucina sui fornelli da campo dove sempre Sacco si procurò un’ustione di 15° grado…a suo modo anche quello fu divertente se ripenso alla frase del dottorino di campo che gli disse “forse ti rimarrà il segno ma non preoccuparti tanto tu non farai mai il modello”. In effetti oggi Sacco ha intrapreso la carriera di commercialista ma avrebbe avuto tutte le caratteristiche per fare davvero il modello ahahaha!! Tantissimi aneddoti che a raccontarli ci vorrebbe davvero una “vita”. In ogni caso un’esperienza che da Capo e da squadrigliere capita una sola volta nella vita e per tutti noi, mi sento di poter dire che fu straordinaria.

Grazie Fabio per la condivisione di questi ricordi genuini e senza tempo: chi c’è stato penso che vorrebbe tornarci e chi non ne ha avuto l’opportunità, potrà certamente sognare con gli occhi di chi ha veramente vissuto “la vita come un’avventura”.

2003/2004 L’avanzata della giungla

Nicolò Pompili

Settembre 2003. Non era ancora svanito l’eco dell’Eurojamboree polacco che già i giovani capi di Calcinelli stavano organizzando il futuro anno associativo. La recente apertura della sezione femminile e la contestuale crescita del numero di Rover e Capi della sezione maschile fecero maturare la convinzione che i tempi erano oramai maturi per l’apertura del Branco dei Lupetti (Bambini dagli 8 agli 11 anni). E così venne proposto a me di ricoprire il ruolo di Akela, insieme a Riccardo Rossi e Nicola Biagiotti di iniziare a percorrere questa pista. Il percorso di avvicinamento prevedeva qualche mese di servizio nel Branco Waingunga del Gruppo Fano 1°, oltre alla partecipazione ai vari appuntamenti di formazione che la Regione Marche e la pattuglia nazionale avrebbero offerto.

…e così arrivò il fatidico 16 maggio 2004, data di inizio delle attività.

Una bella caccia al tesoro fece trovare ai nuovi Lupetti i loro Vecchi Lupi; si costituì il Branco con le prime sestiglie (Neri, Grigi e Pezzati), i primi canti, i primi giochi, i primi racconti, i primi “Lupi, lupi lupi…”.

Le attività proseguirono per quattro domeniche, nelle quali vennero gettate le basi del nuovo Branco. A settembre 2004 iniziò poi il primo anno associativo a tutti gli effetti… una Pista fatta di mille volti che ci ha condotto fino a qua!!

2004/2005 Siamo venuti qui per lodarti

Massimo Mattioli

La Giornata Mondiale della Gioventù, o semplicemente GMG, nella sua modalità internazionale è un evento nato dalla volontà di Papa Giovanni Paolo II, che a cadenza triennale riunisce in preghiera ragazzi e ragazze cattolici che vogliono vivere “da giovani” la propria fede (esiste anche la GMG diocesana che si svolge invece ogni anno). È facile capire come si possa respirare un clima di fratellanza e di festa (ogni anno vi partecipano centinaia di migliaia di giovani), mentre è difficile spiegare a parole il perché vivere questa esperienza possa far arrivare meglio nel cuore di un ventenne il messaggio cristiano, ma è proprio quello che è accaduto al Clan Nettuno, nel 2005 a Colonia. Al fine di rendere “meno intangibile” questa emozione, iniziamo il viaggio a ritroso tramite le parole che Federico Grilli (Fix), l’allora Capo Pattuglia Novizi, scrisse appena tornato a casa, stanco dal viaggio ma completamente rinvigorito nello spirito.

“Ecco il racconto di un’altra avventura del Clan Nettuno. In un caldo e afoso pomeriggio d’estate, precisamente il 13 agosto 2005, undici baldi giovani (Lorenzo Bruscoli [Lollo], Giacomo Giovanelli [Giova], Giacomo Marinelli [Maro], Alessandro Cicoli [Ale], Riccardo Rossi [Rikka], Alessandro Berloni [Berlo], Francesco Cicoli [Franci], Massimo Mattioli [Mattio], Daniele Delvecchio [Dany], Nicola Biagiotti [Biagio], Fix) si sono dati appuntamento alla ormai storica stazione di Fano, pronti per partire alla volta di Colonia, in Germania. Dopo esserci uniti al Clan e al Fuoco di Fano, ci siamo imbarcati sul treno che ci avrebbe portato a Bologna, poi coincidenza per Milano e quindi Colonia. Nel viaggio di andata ci siamo uniti al resto del contingente Scout italiano, un totale di 224 persone tra Rover, Scolte, RS e Capi.  Durante la notte, il viaggio in treno è stato tranquillo e abbiamo avuto modo di conoscere Fabio Sammacal, che si ricorderà in particolare di un piccolo scherzetto fatto dal nostro Berlo”. Il compito di descrivere le attività a cui il Clan partecipò (spirituali e non), la lasciamo alle foto, pur sapendo che sarà riduttivo ed incompleto, ma senza ombra di dubbio, la frase che meglio di ogni altra riassume questa esperienza è: “In conclusione, mi sento di scrivere che: il Clan Nettuno c’è stato e ha trasmesso passione a 360 gradi”.

Sfogliando le foto con Giova, l’allora Capo Clan, è saltata all’occhio quella con la “piramide umana”, che creammo coinvolgendo uno dei Fuochi conosciuti a Colonia, ovvero quello di Ragusa 4°; lui stesso immortalò quel momento ed oggi, vedendola rispolverata dall’archivio, ci vuole raccontare cosa lo spinse a proporre una attività così nuova, ad un gruppo di scapestrati ventenni.

“Strada, Comunità, Servizio, il tutto legato dalla Fede: questi sono i 3+1 pilastri del Clan che costituiscono il Treppiede del Rover. Di Strada ne avevamo già fatta tanta: Monte Civetta, Vipiteno durante i campi mobili estivi, discese in grotta, arrampicate e tante altre uscite all’insegna dell’avventura. Come Comunità di Clan eravamo una grande gruppo variegato ma affiatato e con tanta voglia di “imparare facendo”. Per il Servizio avevamo partecipato all’EuroJam in Polonia come Clan di servizio e avevamo già diversi Rover che svolgevano all’interno delle unità un aiuto importante. Sicuramente invece, avevamo qualche “dubbio” in più per quanto riguarda il legaccio della spiritualità, quindi abbiamo deciso di diventare Pellegrini nella Fede partecipando alla GMG a Colonia in Germania! Questa opportunità si è concretizzata grazie anche alla nostra Associazione che ha composto un contingente italiano FSE, dandoci la possibilità di aderire all’evento preservando la nostra metodologia Scout, ma allo stesso tempo ci ha permesso di aprirci a modi differenti per vivere la spiritualità. Una spiritualità fatta da giovani, con le loro stravaganze, il loro dinamismo e le “diversità che hanno fanno la differenza”: questo è stato il vero, grande insegnamento di questa GMG. Parlare, confrontarci, momenti di festa alternati a momenti di deserto personale, lo stare insieme in modo cristiano con altri ragazzi e ragazze nostri coetanei, tutto questo ci ha permesso di vivere questa nuova e particolare esperienza, con felicità e vitalità: per questo posso affermare che abbiamo imparato a “Pregare con Fede”. La foto con la piramide è stata fatta quasi al termine della GMG, prima della grande Veglia e l’ho scelta perché sintetizza cosa e come abbiamo vissuto questa tipo esperienza: la base è formata dalla Comunità, con la sua gioia e allegria mentre il blocco centrale era il Servizio, donarsi e aprirsi agli altri senza pretese. Se saliamo ancora di un gradino troviamo la Strada, che identifica le difficoltà, la fatica, ma anche la volontà di raggiungere una propria meta personale contornata da tutte le bellezze che si vedono e si incontrano durante il proprio cammino. Nel punto più alto c’è sicuramente Lui, la nostra Guida che ci accompagna, ci ispira, CI SOLLEVA”.

La potenza di uno scatto fotografico si vede dalle emozioni che provoca, ma nel caso in cui l’osservatore sia anche parte del soggetto, queste prendono il nome di ricordi. In effetti, molti ricordi sono venuti alla mente anche a Berlo, che allora era sicuramente il Rover più “burlone” del gruppo ed anche uno dei temerari della GMG 2005, che ha voluto commentare a suo modo la celebre foto della piramide:

“Abbiamo vissuto un altro tipo di scoutismo, diverso da quello con fatica, zaino in spalla ed un po’ di solitudine… anzi, era l’esatto opposto. Infatti, campeggiavamo in un vero campo da rugby! L’apice del gran “mix di sentimenti” che si respirava a Colonia, lo abbiamo raggiunto alla giornata conclusiva vissuta alla spianata, partendo dalla veglia sotto la pioggia fino all’arrivo di papa Benedetto XVI, dopo il quale partirono dei cori di tipo “Benedicto! Benedicto!”. Il ricordo di quei giorni è veramente molto bello… noi eravamo un Clan molto attivo, che si adattava facilmente e così facendo abbiamo vissuto fino in fondo questa opportunità. Ci siamo aperti moltissimo e mi ricordo bene la conoscenza che facemmo con le ragazze che erano con noi nella foto, del Fuoco di Ragusa (e non solo con loro). Un’altra cosa di cui mi ricordo erano le condizioni disastrose in cui versavano le nostre tende, soprattutto quella di Dani e di Mattio: tortellini nei sacchi a pelo poi asciugati con giornali… ma queste cose possono capitare! Io e Rikka eravamo proprio di fronte e non eravamo da meno! Un ricordo quasi spiacevole, ma che per dover di cronaca devo riportare, è quello che mi torna alla mente ripensando ai volontari tedeschi che cuocevano il nostro pranzo con il termometro in immersione… una vera tragedia gastronomica ed intestinale! Comunque è stata una bellissima esperienza alla quale spero che il Clan, composto da nuovi ragazzi carichi e senza pregiudizi, possa partecipare nuovamente, per riportare a casa tutto l’entusiasmo contagioso che abbiamo riportato noi!”

2005/2006 Fratelli nell’avventura: trent’anni di FSE

Massimo Mattioli

“L’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici (della Federazione dello Scautismo Europeo – FSE) si è costituita in Roma nel 1976. Scopo dell’Associazione la formazione religiosa, morale e civica dei giovani, attraverso l’utilizzazione del metodo autentico e nello spirito del Movimento Scout, ideato e realizzato dal fondatore dello scautismo Lord Baden Powell, nella tradizione dello scautismo cattolico italiano”.

Queste due semplici frasi rappresentano il distillato della nostra missione, senza perifrasi o superflue locuzioni, ma che giorno dopo giorno muovono i volontari che ne fanno parte. Nel 2006, l’associazione compieva 30 anni e per festeggiare questo traguardo tutt’altro che scontato vennero intraprese numerose iniziative, che si svolsero prevalentemente nei Distretti e nelle Regioni, che rappresentano le unità organizzative locali dell’associazione, nella quale confluiscono più Gruppi di diverse città. Ed è proprio per questo che non possiamo non raccontare della meravigliosa Caccia di Primavera che si svolse a Ripe, nell’entroterra anconetano e che rimane solo nei cuori di chi l’ha vissuta, ma per una volta questo non è un modo di dire: infatti dal 2014 il comune di Ripe non esiste più perché ora si chiama Trecastelli! A parte la geopolitica, ci affidiamo alla memoria di colui che guidò il Branco Alte Rupi a “cacciare in queste terre poco battute ma cariche di selvaggina”, ovvero Giovanni Cicoli (Cioffi) il primo Akela della storia di Calcinelli, colui senza il quale non avremmo mai potuto dare l’opportunità a tanti piccoli cuccioli d’uomo di conoscere ed amare lo scoutismo.

“Fu una giornata bellissima… per il nostro giovane Branco si trattava della prima volta che partecipavamo ad un evento così grande insieme a tutti gli Scout delle Marche. Ricordo ancora l’emozione dei ragazzi quando nelle settimane precedenti avevamo lanciato questa caccia! Sono certo di non sbagliarmi affermando che dalla foto, oltre a due lupi agguerriti che corrono in una staffetta, si possa intravedere il divertimento nonché la voglia di giocare insieme a tanti altri Lupetti, come non avevamo mai fatto noi di Calcinelli. Ricordo che Esploratori, Guide, Rover e Scolte erano laggiù dal sabato sera, mentre noi eravamo partiti in corriera la domenica mattina… Verso l’ora di pranzo aveva fatto anche qualche goccia di pioggia e così, senza troppi convenevoli ci avevano lasciato montati i sopra teli delle tende ed avevamo mangiato lì dentro. Poi la messa nel pomeriggio, dove ci aveva raggiunto anche don Peppe a concelebrare. Adesso che ci ripenso, quel giorno con noi c’era anche Rupert, un seminarista agostiniano, di origini austriache, che era nella parrocchia di Cartoceto in quel periodo: era stato Scout e così lo avevamo invitato a partecipare! Giusto per concludere in bellezza e per dover di cronaca, tengo a sottolineare con un certo vanto che eravamo tornati a casa anche con l’ambitissimo premio stile!”